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Medea. Un soliloquio (primo studio) – Teatro della Limonaia, Sesto Fiorentino (Firenze)

da Lucio Annio Seneca e Heiner Muller con Valentina Banci, traduzione ed elaborazione drammaturgica Paolo Magelli, musiche Arturo Annecchino. Un attore non è tenuto ad amare i personaggi che è chiamato ad interpretare, eppure alcuni personaggi- assai spesso quelli che mai avremmo detto appartenerci- si insinuano in noi e faticano a lasciarci, quasi per esortarci a continuare-interpretandoli- a farli vivere. Succede a me, con Medea. Una occasione meravigliosa offertami due anni fa da Paolo Magelli, mio mentore e maestro, al Teatro Greco di Siracusa: un periodo bellissimo e pieno di lavoro, di ricerca, di sforzo per arrivare al debutto restituendo a Medea l’umanità di una donna ferita dall’abbandono e dal tradimento operato dal mondo maschile, votato alla brama di potere, verso un suo ideale di vita altro, culturalmente diverso, femminile, rivoluzionario, esistenziale. Da allora Medea continua ad inseguirmi e a farmi interrogare. Perché pensare ancora a Medea, come se non fossero bastate così tante epoche e tentativi a raccontarla? Perché da Euripide, si continua a inciampare, scontrarsi, immedesimarsi, parteggiare, viversi nella vicenda di questa donna, impastata di amore e vendetta, pervasa di passione, attraversata da voci dentro la sua testa e folgorata da un amore solo, Giasone. La Medea di Seneca non è certo un epigono della Medea euripidea, anzi. Seneca è un innovatore, anche se la sua scrittura dovrà attendere la scuola viennese di Freud (Wilhelm Reich prima e Jacques Lacan negli anni cinquanta), per essere riconosciuta in tutta la sua modernità.